Giornata Mondiale del Bacio

Da mi basia mille, deinde centum / dein mille altera, dein secunda centum / deinde usque altera mille, deinde centum”.

Se si desse questo da leggere a uno che non ne sa nulla, di certo ne capirebbe il senso: si chiederebbe solo di quale sperduto paese del Sannio o dell’Irpinia è il dialetto. Invece è latino. È il quinto carme di Catullo. La donna di cui il poeta giovanissimo, appena ventenne, si è perdutamente innamorato, è una trentenne sposata ad un cugino, che lei tradisce sistematicamente. Catullo la chiama Lesbia, in onore di Saffo che era dell’isola di Lesbo, ma è quasi certo che fosse Clodia, la sorella del celebre politico delinquente Clodio, che finì ammazzato in una rissa sull’Appia a Bovillae nel 52 a.C. Quello che vissero i due amanti, a giudicare dai carmi di lui, fu un periodo assai breve di una passione travolgente.

Questo quinto carme, redatto in un latino popolare ma in dottissimi versi falecii (tredici in tutto, divisi in due “strofe”) e raffinate figure retoriche (anafora, allitterazione, metonimia, metafora, antitesi, iperbato) si articola su tre concetti tanto brevi quanto incisivi ed essenziali:

Il rifiuto di stare a sentire le critiche dei vecchi (Viviamo, Lesbia mia, e amiamoci, e il bofonchiare dei vecchi bacchettoni consideriamolo meno di un soldo)
La fugacità della vita umana contro la perenne ciclicità della natura (Il sole tramonta e risorge, ma a noi, una volta che si spegnerà la nostra breve giornata, non resterà che dormire un’unica eterna notte)
Unica soluzione: il turbinìo dei baci (Dammi mille baci, poi cento, poi altri mille e poi altri cento e poi mille altri e cento altri, e quando ne avremo fatte tante migliaia, mescoliamoli da non sapere più quanti, e non ci mettano gli occhi gli invidiosi sapendo quanti ne sono).
All’estremo opposto c’è il bacio del tradimento, di cui il più famoso nella nostra cultura occidentale e cristiana è quello di Giuda, che Giotto così magistralmente dipinse nella Cappella degli Scrovegni a Padova negli anni tra il 1303 e il 1305.

Bacio di Giuda e particolare, Giotto
Bacio di Giuda, Giotto; affresco, 1303-1305, Cappella degli Scrovegni, Padova.

E’ noto che Giotto, come diceva Cennini, “rimutò l’arte del dipingere di greco in latino”. Così, tanto per cominciare, mentre tutte le rappresentazioni della scena rappresentavano i due protagonisti in posizione frontale, secondo la tradizione bizantina, Giotto li mostra qui entrambi di profilo. E di profilo, conseguentemente, si trova tutta la folla che, a destra e a sinistra, circonda la coppia centrale. L’unico personaggio che non è di profilo, ci volta addirittura le spalle e tira un drappo, quasi fosse la tenda di un teatro (in realtà è il rimando al dettaglio riferito da Marco XIV, 51-52 (“Vi fu però un giovanetto che lo seguiva, avvolto in un lenzuolo sul corpo nudo, e lo presero. Ma
lui, lasciando il lenzuolo, scappò via nudo”). Se poi osserviamo bene la scena del bacio, ci accorgiamo che il bacio non c’è! Giotto ha dipinto l’attimo prima: col suo sguardo penetrante e severo, Gesù fulmina Giuda che resta bloccato in una smorfia ed esita a baciarlo. Così, il pittore va oltre il singolo episodio per raggiungere il concetto universale del tradimento. Il chiasso della folla cessa di colpo e solo si impone il silenzio del muto colloquio fra i due. Infine, Giuda avvolge Gesù col suo mantello giallo nell’abbraccio traditore: è il colore distintivo che la Chiesa di Roma aveva già imposto di portare ai “perfidi Giudei” (IV Concilio Lateranense, 1215).